Democratizzazione del Lavoro

Dalla Dittatura del Proletariato alla Democratizzazione del Lavoro

Viva la Democrazia! E ancora, quante volte ci hanno detto che Democrazia e capitalismo sono praticamente la stessa cosa? Che le alternative non esistono, o falliscono… Eh, però, purtroppo il capitalismo avrebbe un difettuccio non da ridere su questo punto…

Vediamo un po’. Ti svegli alle 7 del mattino in una casa del tutto democratica, fai colazione frettolosamente “democratica” (almeno all’apparenza), poi prendi il bus e magari riesci persino a fare il tuo dovere da buon cittadino o buona cittadina e leggi di fretta qualche articolo di giornale.

Ma appena arrivi al lavoro, la Democrazia è sospesa. E lo sarà per otto ore, fino a che la corsa fantozziana all’uscita dalla Megaditta ti riporta ad una forma di almeno respirabile libertà, sebbene inquinata dalla Megaditta stessa… E quando arrivi a casa, sei così stanca o stanco che, veramente, la forza di essere democratica o democratico non l’hai più. E ti sottometti a quel Grande Fratello a 16 o più pollici che ti rincoglionisce per bene, giusto in caso ti vengano idee che nuocciano al sistema, e intanto ti vende anche qualche merendina chimica preconfezionata a prezzi gonfiati.

Sì, perché per la grande maggioranza delle persone la Democrazia non esiste dal mattino fino la sera. Ma non preoccupiamoci, ci hanno lasciato la libertà di essere democratici quando dormiamo…

Il posto di lavoro per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori dipendenti non ha nulla di democratico, e questo è il grande regalo del capitalismo: “Siate pure democratici se riuscite ad evitare il condizionamento mentale del consumismo, ma non sognatevi di farlo per quel terzo della vostra vita che prende le ore migliori di ogni giornata lavorativa! E non dimenticatevi di votare una volta ogni cinque anni!… Per chi scegliamo noi capitalisti, ovviamente.”

Ma non vi pare ironico se non distopico che ci crediamo democratici quando non abbiamo alcun diritto di decidere della parte più determinante, ed anche la più “ingombrante” della nostra vita?

Un’attimo, ma esiste un’alternativa? Certo! Puoi fare baracca e burattini e andare a vivere in un ecovillaggio. Beh, “puoi”… facile a dirsi, molto più difficile farsi, specie se hai un mutuo e figli a carico….

E allora? E allora dobbiamo fare un viaggio nel tempo… Ma cominciamo con i giorni nostri, perché una risposta forte viene proprio dal cu…ore (e vabbè, certe parole non si dicono) del capitalismo mondiale, gli USA, che incredibilmente sono uno dei grandi laboratori dell’EcoSocialismo mondiale…

Chiaro, l’Italia manca nella lista dei paesi dove si sviluppano certe idee, me si trovano l’India, il Sud America, e pure il Nord… Ma non divaghiamo… il fatto è che nella terra e nel terreno fertile del movimento di Bernie Sanders, esiste un personaggio, tale Richard Wolff, Professore di Economia in una serie di università che vanno dalla Sorbona, a Yale e New York, oggi Emerito alla University of Massachusetts Amhertst, e… beh, mosca bianca, pure Marxista, figura chiave del pensiero EcoSocialista, grande divulgatore e fondatore della rivista Rethinking Marxism (ripensare il Marxismo).

È certo grazie in gran parte a lui che se dopo Nixon parole come “Comunismo” o “Socialismo” erano tabù e sinonimo di “orco cattivo” in USA, mentre oggi, secondo sondaggi, il 30% degli statunitensi ritiene il Socialismo una “buona cosa”.

Ma come si è arrivati fini a questo punto nel paese più storicamente ostile al Socialismo e Comunismo? Certamente le lezioni (con milioni di visualizzazioni) e i suoi programmi online hanno fatto tanto, aiutati da un sistema di media alternativi tipo Democracy Now!, Rebel HQ e The Young Turks. Ma come ci è arrivato lui a questa soluzione che ancora vi tengo nascosta?

In due modi… Uno, guardando diversi sistemi nel mondo; due, facendo quello che tutte le analisi corrette debbono fare: ha guardato nel passato, dove nasce un errore, ed è tornato proprio a quel bivio…

Ora, quanti sanno cosa significhi “dittatura del Proletariato”? Ok, ho sempre trovato questo termine “sfortunato”, ma… Intanto non la inventò Marx, ma un suo amico e collega Joseph Arnold Weydemeyer. E non significa quello che poi divenne con il pensiero bolscevico e, bisogna dirlo, pure Leninista.

Weydemeyer e Marx (come poi Trotsky più avanti) la definivano come “la presa del controllo dei mezzi di produzione da parte del Proletariato” (traduco ad sensum e a memoria). Non ha nulla a che fare con l’occupazione dello Stato da parte del Proletariato, o chi per esso.

Se già ai tempi l’occupazione dello Stato non fu sufficiente, e non lo sarebbe nemmeno con metodi democratici, oggi è ancor meno sufficiente…

E questo è importante, perché non lo si persegue più… Ormai è dato per scontato che i mezzi di produzione, le fabbriche, i latifondi, i supermercati, la grande distribuzione, siano dominio unico e dittatoriale del grande capitale, e se non ci va bene questa dittatura della borghesia 2.0 o 3.0 o qualsivoglia  punto zero, beh, “tough luck,” come si dice in inglese (traducibile con “arrangiatevi!” o ancor meglio, “axxi vostri”)!

Il problema è che in un sistema democratico, anche qualora si avesse un governo di vera Sinistra (e qua già andiamo nella fantapolitica per il nostro Paese), non ci sarebbe alcun cambiamento vero del tessuto economico e sociale se non si perseguisse una democratizzazione del lavoro.

Senza di essa, il massimo a cui un governo può aspirare è ridare alcuni dei diritti persi (grazie Renzi, n.d.r.) ai lavoratori ed alle lavoratrici. Ovvero, rimane un limite arbitrario al cambiamento, ed un limite che protegge quello che è di fatto (e pure in teoria) lo sfruttamento del lavoro e delle persone, che non è altro che schiavismo 2.0, 3.0, ecc…

E se allora la democratizzazione del lavoro nasce dallo stesso concetto della dittatura del Proletariato, ma ne esclude gli errori interpretativi, e la aggiorna ai tempi moderni. Ed anche qua, Wolff ci dà una mano…

Allora, sapete che i Progressisti USA (quelli di Sanders, Occasio Cortez, Katie Porter etc.) guardano anche ad un modello che l’Italia si è fatta sfuggire, o meglio ha distrutto da sola? E stanno cercando di implementarlo anche nella patria del capitalismo? Parlo delle cooperative, quelle vere… Eh, sì, il sistema cooperativistico è intrinsecamente più efficiente di quello corporativista, oltre ad essere più democratico…

E qui uno spunto; in Italia, purtroppo, siamo troppo abituati ad accettare… Quando qualcosa succede diventa, per una strana perversione del nostro paradigma mentale, non solo un dato di fatto, il che è corretto, ma anche implicitamente giusto…

Ed invece, in Italia serve una riforma delle cooperative, una legge che renda le cooperative vere cooperative. Per cortesia, ce ne sono ancora, ma ormai la legge ha trasformato il termine cooperativa in “corporazione con la faccia buona ma la coscienza sporca”. Ed infatti, noto che sta entrando in voga il termine “false cooperative”; e così  le dobbiamo chiamare.

Anche qua, dobbiamo fare quello che ha fatto Wolff: tornare al bivio dove le cose sono cominciate ad andare male, e prendere l’altra strada.

Ma Wolff guarda anche alla Germania, dove il Socialismo esiste, non solo nello stato sociale, non solo perché oggi al governo ci sono partiti di Sinistra, non solo perché hanno un salario minimo… Pochi lo sanno infatti… In Germania, la democratizzazione del lavoro esiste, ed è ad uno stadio avanzato.

In Germania non ci sono veri consigli di amministrazione, o almeno non si chiamano così. Lo chiamano “cogestione”, e significa che per legge, in quello che da noi sarebbe chiamato CDA, devono essere presenti i rappresentanti eletti da e tra i dipendenti, per l’esattezza, minimo un terzo se l’impresa ha tra 500 e 2.000 dipendenti, e minimo il 50% se oltre i 2.000.

Ci si chiede perché le ditte tedesche sono così efficienti? Studi dimostrano che il fatto che i dipendenti siano presenti nella gestione del lavoro incrementa la produttività in modo molto significativo. Ci si chiede perché le ditte tedesche non chiudono mai? Perché non lo decide un azionista che non ha alcun interesse nella ditta, ma gente che porta a casa un salario, e sono nella “stanza dei bottoni”.

Da noi, qualche lacchè degli azionisti decide a porte chiuse di licenziare per far far profitto agli azionisti stessi, in Germania, voglio vedere con che faccia vai davanti ai tuoi ed alle tue dipendenti chiedendo il permesso di licenziarli e licenziarle... E allora si trovano soluzioni alternative (modernizzazione, investimenti, ristrutturazione) e le ditte non licenziano e non chiudono quasi mai… E non te lo fanno sapere con un SMS che per gonfiare un conto in banca nelle Isole Cayman tu finisci senza lavoro…

E di alternative ne esistono altre, ma bisogna rompere una barriera. Se essere radicali significa chiedere il salario minimo, siamo messi male, e qui in Italia già sembra voler molto… Ma il salario minimo, ottimo e necessario, non cambia la strutture economica e sociale del paese alle radici, è sempre una misura correttiva di un’ingiustizia, non introduce la partecipazione democratica delle e dei dipendenti sul lavoro. E poi dipenderà sempre dalla generosità (o meno) del governo (piuttosto che del cosiddetto “datore” di lavoro) aumentarlo se necessario. E si torna a quella “democrazietta” per cui si spera che tutto si risolva con un voto ogni cinque anni…

Ed è qua che in Italia è ben ora che ci si tolga di dosso quella mentalità isolana, sciovinista e con fetore di fascismo per cui, “Ma qua siamo in Italia,” o ancor peggio, “Gli italiani sono comunque i migliori,” e si aprano le porte ad idee che si sviluppano in tutto il mondo, che ci si guardi intorno, e che non ci si vergogni di pensieri veramente radicali, e veramente trasformativi, come la democratizzazione del lavoro.

 

Adriano Bulla, 7 febbraio 2022

 

 

 

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